Vigneto Cannonau in primavera - Porthos Edzioni

Mamoiada e il Cannonau: una presa di posizione

La scelta naturale
«Non abbiamo esperienza diretta dell’agricoltura convenzionale. In vigna e in cantina lavoriamo come se facessimo il vino per casa. Certo, il contesto ci aiuta: grazie all’altitudine ci basta usare rame e zolfo al bisogno. In pochi usano concimi chimici, ma in quantità omeopatiche (anche la spilorceria ci ha salvato). La lavorazione in cantina è totalmente naturale, qualcuno usa il metabisolfito e di nascosto perché, fino a qualche anno fa, era motivo di vergogna. Per avere un vino vivo, devi lasciare che la vita vada avanti, la mano dell’uomo deve guidare, non interferire. Tra l’altro il terreno, originatosi da disfacimento granitico, è sciolto, acido, ricco di potassio e povero di azoto, caratteristiche che lo rendono particolarmente vocato per la vite».

Vigneto del Cannonau di Mamoiada - Porthos Edizioni

Francesco è consapevole di un cambiamento nella produzione degli ultimi dieci anni: «Aumentando gradualmente la massa, è inevitabile che cresca l’esperienza, attraverso tentativi, errori, sorprese. Ad esempio, ci siamo accorti che l’elevata alcolicità estrae molto dal legno e i tannini gallici non sono sicuramente i migliori. Così, in estate trasferiamo il vino nel cemento. Ultimamente stiamo facendo delle prove con le botti in castagno sardo, un tempo il contenitore più usato, costruite da un artigiano della zona. Abbiamo anche piccolissimi appezzamenti di un vitigno chiamato in loco granazza, che una volta veniva lavorata in uvaggio con il cannonau, pratica oggi non più consentita dalla DOC. Per questo motivo vinifichiamo la granazza in purezza, dopo i rossi quando è stramatura, i risultati ci hanno sorpreso enormemente. Continuamo a osservare, a scoprire a poco a poco». 
Questo l’approccio anche di Giovanni Montisci, nato in officina – l’eredità paterna – e appassionato di auto e rally, come Francesco. Ha imparato a lavorare la vigna dal suocero e dagli anziani di Mamoiada: «Ho iniziato nel 1996, il vino l’ho sempre visto fare; ho sempre cercato di migliorare, ma la viticoltura che ho in testa è quella della mia memoria: non posso immaginare qualcosa di diverso dall’alberello basso. La vigna si lavora con la schiena». Le poche, decise battute di Giovanni fanno da introduzione all’assaggio del suo Barrosu. Sarà questo Cannonau da vecchi alberelli a parlare per Montisci, a narrare la sua crescita e l’ingresso nell’alveo dei migliori vini naturali.