L’intervento a Castelbuono


Pubblichiamo il mio contributo a una tavola rotonda dedicata alla biodinamica voluta e organizzata a Castelbuono, in provincia di Palermo, dalla sezione italiana dell’Union Européenne des Gourmets. È stata un’occasione preziosa per imparare da persone appassionate e appassionanti. Per questo, e per la profonda amicizia che ci tiene legati, sento di ringraziare in modo speciale Guido Falgares e Francesca Tamburello. Trattandosi di un intervento “a braccio”, domando sin d’ora scusa per il tono colloquiale di alcune parti.

La mia scoperta della biodinamica
Alla nascita di Porthos, il nostro progetto didattico ed editoriale sorto alla fine del 1999, abbiamo affrontato da subito le tematiche più scottanti della viticoltura, quindi anche dell’agricoltura. È stata una conseguenza naturale, per esempio, incontrare Joly, pubblicare una sua intervista e pochi mesi dopo tradurre per la prima volta in italiano quello che in francese era “Il vino dal cielo alla terra”, interpretandolo come Il vino tra cielo e terra. La cosa più bella è che i francesi hanno apprezzato il nostro titolo.
Dedico la maggior parte del mio tempo a insegnare alle persone ad avvicinarsi al vino. L’invenzione della gioia è il mio libro sull’educarsi al vino e si parte da noi, da me e da voi. In questa occasione voglio consegnarvi ciò che l’antroposofia e la biodinamica mi hanno dato da quando ho avuto la fortuna di incontrarle, scoprirle e cominciare a studiarle, anche se il percorso è ancora molto lungo. I francesi dicono «tutto torna» e ci si accorge quanto l’antroposofia e la biodinamica abbiano radici antiche e profonde. Ho compreso appieno tale aspetto abbracciando la pratica buddista, sperimentando quindi il grande passaggio culturale e storico dalla teosofia all’antroposofia, ovvero dallo studio di Dio a quello dell’uomo. Questo è ciò che Steiner ha coltivato. Nel 1892 in occasione di un gioco di società Steiner pronunciò un motto veramente notevole, alla luce del suo percorso successivo: «Al posto di Dio, l’uomo libero» e lo diceva da cristiano, non da ateo. Questo è il punto nodale in cui comincia a parlare della responsabilità individuale, poi aggiunge: «Il mondo è pieno di cose magnifiche e grandiose, occorre immedesimarvisi, occorre conoscere Dio in tutte le sue manifestazioni per poterlo trovare in sé medesimi, soltanto allora lo si conoscerà nella sua totalità. L’universo è come un gran libro e nelle diverse cose create ne abbiamo le lettere. Dobbiamo leggerle dal principio alla fine per poter decifrare il libro del microcosmo e quello del macrocosmo». A questo punto avviene la transizione più delicata e profonda: «Non è più allora una comprensione solo intellettuale, ma essa vive anche nei sentimenti, fonde l’uomo con tutto l’universo, in modo che egli senta tutte le cose come espressione dello spirito divino della terra». Steiner parte dal principio che esiste una sorta di congiunzione, di coincidenza, tra ciò che è la sostanza della terra, e dell’universo, e ciò che siamo, quindi afferma: «L’uomo deve concepirsi come un essere spirituale».
Joly cominciò a diffondere il pensiero steineriano tra i viticoltori di Francia negli anni 1979-80. Il proprietario della Coulée de Serrant aveva iniziato mostrando nella sua proprietà gli effetti della conversione alla biodinamica. Il domaine si trova sulla Loira nella zona di Savennières. Non è la Loira dei Sauvignon di Pouilly e di Sancerre, né la Loira della Turenna, quindi di Amboise e di Vouvray. È il tratto regale, lento e luminoso. È proprio partendo dalla percezione della luce e della sua funzione che Joly accusa gli agricoltori di non vivere spiritualmente il loro rapporto con la terra, ma di essere essenzialmente dei materialisti.
Se pensiamo alla nutrizione come a una sorta di varco obbligato, al quale non è necessario dare attenzione, è chiaro che non riusciremo mai a crescere come persone. È vero che si tratta in sostanza del processo in cui le proteine si strutturano e le cellule si rinnovano, ma in realtà se ne può riconoscere una parte più intima, non immediatamente percepibile dai nostri cinque sensi materiali, che potrebbe rivelarsi scoperta e incustodita, non protetta. Quando provvedo a nutrirmi, non mi curo semplicemente dell’alimentazione del cibo, anche se mi rendo conto tutti i giorni che la qualità della materia prima è imprescindibile (noi siamo quello che mangiamo). È indispensabile cominciare a chiedersi se il nutrimento spirituale, che cogliamo dagli alimenti attraverso i nostri sensi, sia altrettanto importante. Quando ci “alimentiamo” quindi, dovremmo concentrarci su tutto ciò che sentiamo, sulla lettura, sulla vista e sull’ascolto. Siamo dotati di sensi effettivamente funzionanti, dobbiamo solo cominciare a occuparcene. È necessario smettere di trattare le cose in maniera distratta e dedicarsi completamente al proprio nutrimento spirituale. Quest’impegno non equivale a risolvere un’equazione, né corrisponde a una concentrazione esclusivamente razionale. Si tratta proprio di una dedizione, di un rapporto.
Fu lo stesso Joly, con il quale avevo intrapreso una serie di seminari, a consigliarmi di leggere i libri delle conferenze di Steiner, che arrivò all’agricoltura poco prima della sua morte. Le conferenze più famose risalgono infatti al periodo tra il 1922 e il 1924 e Steiner morì nel 1925. Studiò moltissime cose diverse, come la medicina e l’euritmia, ma approdò alla biodinamica successivamente, quasi in coincidenza del compimento del suo percorso di crescita culturale, intellettuale e spirituale. Quando Joly cominciò a trasmettermi queste attenzioni, cambiai completamente l’approccio al cibo, provai a fondare la ricerca di un’alimentazione e di un nutrimento completi. Scoprii allora che si può leggere e sentire attraverso l’assaggio di una pietanza o di un vino, attraverso un ascolto musicale. L’antroposofia e la biodinamica, che sono state i mezzi per risvegliarmi, hanno sollevato in me dei dubbi, hanno dato rilievo ad aspetti che suggeriscono un processo più fine, delicato e sottile di vivere la quotidianità e naturalmente anche gli eventi più importanti della vita. Goethe è stato di grande ispirazione per Steiner e per tutti coloro che, come lui, amano la vita. Il poeta tedesco scriveva: «Se vuoi andare verso l’infinito, vai verso il finito, ma da tutte le parti» e «la materia non è nulla, ciò che conta è il gesto di chi l’ha fatta».
A questo punto, vorrei introdurre un nuovo elemento. Quando si parla di naturalità della produzione del vino e si estende il concetto a tutte le attività gastronomiche, enologiche e alimentari per le quali è prevista un’elaborazione, si dimentica il reale significato di “naturale”. È un attributo che non appartiene a un soggetto, una cosa o un prodotto che nasce per conto proprio, ma denota una realizzazione, nella quale l’uomo si affianca alla natura. È questo il suo significato principale. Quando qualcuno con un pizzico di scetticismo, superficialità e presunzione afferma che è impossibile che il vino sia naturale, poiché è un prodotto dell’uomo, non posso che rispondergli: «Ci mancherebbe pure che non lo fosse! Pensate che la natura, da sola, avrebbe potuto portare le uve da qualche parte?». È necessaria per l’uomo una partecipazione profonda, decisiva. Il mio libro s’intitola L’invenzione della gioia, poiché Borges in una poesia fa riferimento alla gioia inventata e scrive: «In quale giorno segreto non segnato dal marmo nacque la fortunata idea d’inventare la gioia?» L’uomo è essenziale in tutto questo processo, ma la sua deve rimanere una responsabilità di affiancamento, di custodia. Cosa faceva nascere il dubbio a Steiner quando parlava della biodinamica? «Essa si sforza di lavorare non solo con le forze terrestri, ma anche con le forze cosmiche, planetarie e stellari. L’agricoltore biodinamista non cerca di favorire la crescita delle piante secondo il principio del rendimento, cerca di restituire al mondo vivente la sua salute originale». Tale questione di salute è un dato sostanziale. Quando dice «non cerca di favorire la crescita delle piante secondo il principio del rendimento», non intende che il produttore non debba guadagnare dall’attività agricola, tutt’altro, vuol dire piuttosto che esiste un principio di rendimento, il cui confine sottilissimo può essere sorpassato con grande facilità. A questo punto entra in gioco, accanto al mezzo, anche lo scopo.
Frequentando Joly e affrontando i vini naturali, ho scoperto qual’è la superiorità sensoriale dei vini biodinamici, ma soprattutto ho capito come mettersi in una posizione diversa per osservare. Osservare è il cuore dell’attività dell’agricoltore. Fino a pochi anni fa gli agricoltori erano nemici degli ambientalisti, li consideravano dei disfattisti. Era un contrasto da pacificare. È vero che, quando è il principio di rendimento l’unico scopo dell’attività agricola, è sempre un fallimento. Joly nell’intervista a Porthos aveva detto: «Mi è stata consegnata questa vigna e io la riconsegnerò. Ho l’impressione di avere un ruolo importante da svolgere in questo luogo per me sacro, energeticamente molto forte, antico e legato alla cultura». È evidente che stiamo parlando di un’agricoltura etica, che ha a che fare con il principio della vita. È un concetto difficile da impartire razionalmente. Ci deve essere una scoperta, un’illuminazione. Mi mostro piuttosto critico, quando sento parlare di approccio biodinamico razionale, nel quale vengono messi da parte tutti gli aspetti occulti. La biodinamica nasce direttamente dall’antroposofia. Se qualcuno ha la fortuna di frequentare, o anche soltanto visitare e fare due chiacchiere con chi insegna presso le steineriane scuole Waldorf, si accorgerà che tutto è collegato e ogni azione ha il suo effetto. Questo è esattamente il principio su cui Siddharta, il cui vero nome era Shakyamuni, immaginò la pratica buddista.
Credo che la biodinamica presto potrà essere intesa nella sua profondità e nella sua urgenza. Steiner l’aveva manifestato chiaramente: «è impellente recuperare il rapporto fra terra e luce, terra e calore, terra e acqua, poiché queste quattro grandi unità sono state scomposte». Se non se ne comprende lo spirito generatore, la biodinamica non potrà mai essere accolta nella sua essenza. All’inizio del convegno, nel presentarlo, Francesca Tamburello ha detto: «Che la leggerezza della forma aiuti la sostanza dei contenuti». Questa è davvero una frase “biodinamica”.