L’intervento a Castelbuono

Dopo l’intervento del signor Bucci, direttore della cantina Castello Banfi, ho voluto mettere in rilievo alcuni aspetti.
Ci sono dei punti che devono essere precisati. Non bisogna assolutamente fraintendere quanto appena detto con il fideismo. L’opera biodinamica è proprio tutto il contrario. A costo di ripetermi, voglio che sia chiaro il fatto che è avvenuto uno spostamento eccezionale dall’aspetto teosofico a quello antroposofico. Se i sensi non riescono a percepire quello che ci accade intorno, non significa che questo non esista. Provate a immaginare che soltanto un secolo fa certe cose ancora non si conoscevano, e non solo quelle che si possono vedere… Oggi invece siamo perfettamente in grado di misurarle. Mi sono sempre impegnato a evitare che la biodinamica e la naturalità della produzione alimentare diventassero unicamente una moda. Del resto Montalcino stessa lo è stata – basta osservare quanto e in quale modo poco qualitativo l’area originaria si sia estesa. Anche in uno sforzo nobile è possibile che qualcuno strumentalizzi l’argomento. Di conseguenza è abbastanza prevedibile che sorgano dubbi riguardo alla strumentalizzazione del metodo biodinamico a livello di marketing, ma io preferisco un discorso più profondo. Non è vero che Steiner non abbia mai parlato di vino, ne ha parlato eccome, così come di caffè e di tante altre cose che riguardano l’alimentazione. La sua attività per l’agricoltura si concentrava soprattutto sull’allevamento e sulla coltivazione di generi di primissima necessità; quindi è naturale che si preoccupasse in modo prioritario della qualità del latte o del grano per fare il pane, per fare alcuni esempi.
Credo che la biodinamica abbia insegnato all’uomo soprattutto due cose. La prima è unire all’osservazione la partecipazione, modificando l’attività agricola in senso “artistico”. Chi frequenta il vigneto, ma anche nel caso di un altro tipo di mansione, ci va e ci lavora tutti i giorni, sa che l’osservazione di quello che accade è molto più importante di ciò che si può valutare dall’esterno.
La seconda è la necessità di nutrire la competenza attraverso lo studio, ovvero capire come le cose funzionano, imparando a porsi delle domande. Questa è la crescita della pratica biodinamica, che naturalmente si pone l’obiettivo di riconoscere che non possiamo essere quelli di cento anni fa. Siamo quelli del 2012, questo è esattamente quello che sosteneva Alex Podolinsky quando s’impegnò in Australia a condurre in biodinamica più di un milione di ettari. Podolinsky non è certo il tipo che va a parlare di biodinamica razionale. La biodinamica non può essere definita né razionale né irrazionale; esiste solo la biodinamica, che va studiata e approfondita senza alcun fideismo.

Al termine di alcuni interventi di tecnici e produttori, ho ricevuto la parola per chiarire un paio di punti.
Vorrei chiarire la terminologia. Non esiste uno “stile biodinamico”, ciò farebbe pensare che ce ne siano anche altri tipi. La biodinamica è una conduzione agricola. La coltivazione biodinamica di oggi non è sicuramente identica a quella di cento anni fa, probabilmente neanche a quella di dieci anni fa; le cose col tempo si trasformano. Non si può inoltre parlare di “vinificazione biodinamica”, poiché la biodinamica si occupa di agricoltura. S’individua perciò solo la “vinificazione naturale”. Questo è un dato imprescindibile per capire la superiorità dei vini biodinamici, che vengono vinificati come i vini biologici e in tale processo non presentano alcuna differenza di carattere tecnico con essi. La sola diversità sta nelle uve biodinamiche ed è legata alla loro vitalità e varietà.
A proposito della scelta d’individuare gli organismi viventi territoriali, come si potrebbero definire i lieviti “autoctoni”, vorrei dire che, già prima di condurre queste ricerche scientifiche, tutti erano consapevoli e sostenevano che gli animali contaminavano le uve. Trovo quindi straordinario che ciò che era davanti agli occhi di tutti, ma nessuno riusciva a spiegare, abbia acquisito fondamento scientifico. In Svizzera hanno lavorato molto per riuscire a illustrare il riscontro scientifico della biodinamica, ma è mancato spesso il “calore”, con cui invece sono affrontate le cose in Italia.