31 Gen La verticale del Chianti Classico Riserva Il Poggio di Castello di Monsanto
Brevi note di degustazione – Francesco Vettori
2001
Note dolci, pastello, vinile. Fra le tre Riserve della prima batteria è il più piacevole. Profumi che si liberano agevolmente. In bocca: ferro, sangue, anche buccia di mela. Uguale impressione in bocca di dirittura, di svolgimento a passo di marcia. Finale con nota di affumicatura.
2003
Mora, prugna, felce, radice. Compatto, come l’idea che si debba ancora svolgere. Si piazza al centro della lingua. Buona freschezza in bocca. Ha peso da alimento “nutritivo”.
2004
Mi dà l’idea di essere più avanti degli altri. Ancora felce, poi alga, sentori che richiamano quel che vive nell’acqua. Carta di riso. Anche note vegetali di foglia di pomodoro e terra. Altra bocca: sembra concedersi meno degli altri, però riconosco la sua classicità, per litote, per cancellazione del resto.
Sangue, carne, carne bollita ma anche, finalmente, note floreali di rosa e fiori d’arancio.
Le Trame 2004
Cigar box, menta e liquirizia. Soprattutto polvere da sparo e gomma. Immediatezza. Ma in bocca si siede, si scioglie, diluisce.
Le Trame 2004
Tubetto di smarties, cioccolato bianco, glassa, marron glacé. Grande finezza. E fiori, ciclamino, e speziature, curry. Movimento ascensionale e ondeggiamento dei profumi. Attraversa la bocca come una linea che fodera la lingua. Ritorni di tabacco, di mandorla.
Al riassaggio, dopo mezz’ora, sensazione di fragranza, di vivacità, un vino che indossa un vestito colorato.
1998
Smalto, vinile, colla, poi rabarbaro, chinotto. Nettezza in bocca, sia per la divisione delle parti sia per la loro progressione, coerente, precisa, compiuta. Per questo, mi ha richiamato la classe, l’elezione dei vini di una zona vicina, Lamole. Se il precedente lo descriverei come vino fatto di colori, a questo corrisponde la solidità e distinzione di una foto in bianco e nero.
2006
Mora, frutti di rovo. Difficile leggibilità. Vino “spesso” ma anche note dolci. Troppe. E una certa pesantezza. Finale sull’amaro. Questo spessore, e pesantezza, rimanda ad altro, che non riesco a definire.
2007
Frutto, fragola e anche rosa. Questo vino è giovane, vivo, ingenuo. Si pone per quello che è, immediatamente, senza barriere.
2008
Latte, caseina, note fermentative. Lapis. Anche note di abbrustolito. In bocca scivola via.
Soprattutto gli ultimi tre vini, e tenendo conto anche dei primi tre, mi lasciano perplesso per il fatto che si assomigliano fin troppo. Direi che nel bicchiere si percepisce bene la ricerca di pienezza, di vigore, di completezza, che però viene raggiunta sacrificando le sfumature, e la leggerezza, e i tratti più originali e problematici. In bocca, alla prova gustativa, uguale è l’impressione che il vino proceda per blocchi, che certo significano pienezza e presenza del sapore, ma che oltre non portano la degustazione.
Brevi note di degustazione – Sandro Sangiorgi
2001
L’aspetto visivo denota una certa distanza dalla linea delle annate precedenti, dove il colore granato non superava mai una certa concentrazione apparendo sempre più stagionato rispetto all’età effettiva del vino.
Il potente impatto odoroso è condizionato dal rovere che soffoca un’espressione di sostanza.
L’acidità è tesa, manca l’unità che potrebbe gratificare le sensazioni finali e donare il piacere fisico del vino in bocca.
2003
Il colore è meno pieno del 2001, sebbene mantenga una certa densità.
Il rovere è di nuovo protagonista, ma l’insieme ha un altro grado di fusione tra le componenti odorose e così risulta più godibile, anche col passare dei minuti.
Non ha la profondità del 2001, in compenso è meno rigido e la sua calda staticità finisce per essere accogliente.
2004
Il granato-rubino ha una maggiore brillantezza e una concentrazione meno imponente.
Fa trapelare un livello più interessante di profumi, visto che la linea del rovere è meno sensibile; non è difficile riconoscere la vena del Sangiovese che lotta con l’impronta vanigliosa-dolciastra per affermarsi anche nella corrispondenza tra naso e bocca.
A perdere contatto è l’aspetto fisico che soffre la sensazione asciugante del legno.
1998
La tonalità del colore è caduca, struggente…
Il naso si apre in modo disinvolto, sebbene non raggiunga un grande livello di ampiezza, è efficace la sua capacità di trasformarsi offrendo sottili sentori terziari di foglie secche, pelle e confettura.
La freschezza diffusa, così vicina alla lieve tannicità, fa sentire che il tempo non è passato invano; il raffinato equilibrio gustativo evoca ciò che scrisse Paolo Monelli di un «Chianti vecchio, vellutatissimo, serio, maestoso come un gentiluomo in frac».
2006
Non aggiunge nulla alle sensazioni offerte dal 2004 e fatica a sentire vicino il cibo: manca il “sentimento” che rende il vino ministro della tavola.
2007
In questo momento appare il meno coraggioso, non solo per la consueta azione ingombrante della botte – più subdola di altri casi e, per questo, più inquietante – ma anche per l’assenza di quella dinamica rinfrancante che a lungo è stato l’aspetto pregnante de Il Poggio.
2008
È il più interessante dell’ultima generazione, ha una vitalità intuibile sin dalla delicatezza cromatica. I profumi hanno una libertà che sa di fiori, radici e tabacco, il sapore ha una lunghezza distesa e attiva; bene anche le sensazioni finali che lasciano in eredità una piacevole percezione tattile.